Gomorrea

Gomorrea

Dopo diversi spostamenti della data d’uscita, ieri sono finalmente andata a vedere Gomorra. Non vi racconto la storia sia perché il libro oramai è talmente famoso che probabilmente sapete già  di cosa parla, sia perché dopotutto una vera e propria storia non c’è.

Si, ci sono cinque racconti paralleli che però sono più cinque atmosfere. Si fa fatica a capirlo ‘sto film, insomma, pur avendo letto il libro. E non perché si parla in dialetto stretto, visto che è sottotitolato. In effetti i dialoghi sono per lo più marginali. Tant’è vero che sono allo stesso volume dei rumori di fondo. In effetti sono essi stessi dei rumori di fondo, degli elementi dell’ambiente come le canzoni neomelodiche o la musica dance in certe scene.

Fa parte di questa tecnica da documentario antropologico che si usa nel film, con le inquadrature fintamente casuali, i primi piani senza motivo che durano mezz’ora mentre non succede niente. E non si capisce, questo è il risultato: non si capisce abbastanza, per un film di denuncia sociale. Un pò come i film di Francesco Rosi, che infatti molti critici hanno citato. Ma avete visto Il caso Mattei o Salvatore Giuliano e ci avete capito qualcosa? Qualcosa oltre una generica idea che c’è qualcosa di losco sotto? Non ne conosco abbastanza di storia del cinema per addentrarmi in complicate analisi socio-tecniche, ma queste raffinatezze registiche fini a se stesse mi stanno antipatiche.

Per questo motivo è più sincero il mio apprezzamento per certe idee che mostrano un non-cretino (Matteo Garrone) dietro la macchina da presa. Le meravigliose (anche se un pò “fisse”) inquadrature delle Vele di Scampia, gli stakeholder che fanno l’allunaggio fra i rifiuti tossici. La scelta degli attori (e ovviamente dei non-attori), la luce. Le scene violente e dure ci sono, ma il giusto, e non sono messe sadicamente in risalto: il libro in questo è molto più crudele.

E veniamo al sarto Pasquale. E’ la storia più famosa, anche perché meno dura e “impegnativa” e allo stesso tempo più vicina: tutti si vestono e le boutique coi prezzi stratosferici sono ovunque. Ci sono alcune scene modificate che sono carine: il progressivo fare amiciza con i cinesi, lo scoprire la verità  sul vestito in un autogrill… Ma il film non fa capire bene, ad esempio, che il vestito di Scarlett Johansson (nel libro Angelina Jolie) non era un qualsiasi vestito: era una commissione specifica per l’attrice, specifica per quell’evento. Uno si immagina venerande sarte anni ’60 che armeggiano attorno alla diva mentre lo stilista famoso guarda con occhio critico sullo sfondo di un paesaggio newyorkese o milanese. Invece era Pasquale in uno scantinato campano. Vabbé che nell’ultima apparizione di Saviano ad Annozero, Michele Santoro ha messo in dubbio la veridicità  di questa storia e lo scrittore non ha reagito. Magari era una storia verosimile, ma non vera. Eppure “pregnante”. Il film non abbastanza. Ma andatevelo a vedere.

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